Pour comprendre ce qui se passe actuellement en Ukraine, au Vénézuela et ailleurs, il est utile de lire l’article d’Alessandra Riccio sur Cuba (en italien). A partir du témoignage d’un agent double Raúl Antonio Capote, on voit comment on peut facilement manipuler les esprits et désinformer l’opinion publique au nom de la liberté d’information.
Ce qui ne veut pas dire qu’il n’existe pas d’opposition, de dissidence ou de mécontentement populaire contre les gouvernements.
Mais les medias occidentaux ont besoin de simplifier à l’extrême les situations, et finalement construisent des réalités virtuelles manichéennes qui deviennent des vérités historiques.
Sans remonter trop loin dans l’histoire l’actualité au Moyen Orient, en Syrie, en Ukraine, au Vénézuela, en Iran, les guerres en Irak, en Libye, en Afghanistan nous montre comment les opinions publiques, censées avoir accès à des informations « objectives » se font manipuler et tromper et comment la presse occidentale « libre », consciemment ou non, est complice.
« Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelquechose » (Beaumarchais, Le Barbier de Séville).
Alessandra Riccio
Bergamo, 1.3.2014
Come ti invento la dissidenza: la testimonianza di Raúl Antonio Capote
“In Europa devo serbare tutta Cuba dentro di me […]. Vorrei che in Europa sapessero quanto la realtà è differente da ciò che, in generale, essi apprendono su Cuba […]. Sono pronti a credere qualunque calunnia, qualunque invenzione che denigri Fidel Castro e a considerare bugie tutto ciò [che] si cita a suo favore. Ma i cubani non hanno a disposizione i potenti organi di stampa degli Stati Uniti e che questi, molto spesso siano stati riconosciuti mentitori, non conta.”
Alba de Céspedes, Con grande amore.
“Per scrivere bene su Cuba c’è bisogno di molti documenti che avallino quel che si afferma, per parlare male non c’è bisogno di molti documenti.”
Piero Gleijeses
Nei miei anni di corrispondente dell’Unità all’Avana, mi ero imposta, appena sveglia, di accendere la mia piccola ed efficiente radio a transistor made in RPC per ascoltare, direttamente da Washington, le notizie di Radio Martí. Era il mio veleno quotidiano, ma dovevo sopportarlo perché quelle notizie andavano verificate. Si è trattato sempre di mezze verità e di intere bugie. Avendo preso questa abitudine malsana, non sono riuscita più a liberarmene e attualmente il mio veleno quotidiano lo assumo attraverso la pagine del quotidiano spagnolo El País e delle sue eco, la più pedissequa delle quali è la voce di Omero Ciai su La Repubblica.
Quando lavoravo a Cuba, gli strumenti di comunicazione erano antidiluviani: ho cominciato con una telescrivente ungherese per arrivare, nel 1992, al fax. Oggi invece fra cellulari, smartphone, I-pad, e altre diavolerie, tutto viene divulgato in tempo reale e si ha notizia di ogni avvenimento non appena si verifica, con il dovuto corredo di foto e video. Ma si tratta di armi a doppio taglio vista la facilità di falsificare voci, foto, immagini. Ricordiamo tutti la foto di un presunto Chávez moribondo su El País, la piazza “liberata” di Tripoli preparata e riprodotta in Turchia prima che l’evento si verificasse e, nelle scorse settimane, la raffica di foto falsificate sul Venezuela (in particolare la ragazza trascinata dalla polizia in una manifestazione avvenuta in Egitto, la catena umana di “manifestanti” contro Maduro che in realtà era una foto della grande manifestazione di settembre per l’indipendenza della Catalogna, ecc. ecc.)
<http://www.rebelion.org/noticia.php?id=180977>
Morale della favola, non si può più credere a niente e a nessuno.
Cuba è stata vittima di falsificazioni non da oggi: la guerra mediatica contro l’isola risale ai tempi delle sue guerre di indipendenza, quando l’avido vicino del Nord ha deciso di intervenire in quella lotta per l’indipendenza dei criollos, con lo scopo –meno nobile- di dare il colpo di grazia al decadente impero spagnolo e mettere le mani sull’isola che apriva l’accesso a tutto il sub continente. Lo aveva avvertito José Martí quando scriveva della imperiosa necessità “de impedir a tiempo con la independencia de Cuba que se extiendan por las Antillas los Estados Unidos y caigan, con esa fuerza más, sobre nuestras tierras de América”.
E’ diventata leggenda –ma leggenda nera- la frase di William Randolf Herst, proprietario di giornali californiano, impegnatissimo a mettere tutte le sue armi a disposizione dell’intervento nordamericano sull’isola. Quando un suo fotografo, a cui sembrava che il clima dell’Avana fosse troppo tranquillo, gli chiese di tornare a casa, Herst avrebbe risposto: “Resta lì. Fai le fotografie, io farò la guerra”; si trattava naturalmente della guerra di indipendenza che gli insorti cubani combattevano contro l’impero di Spagna. Se fosse vera la frase, la lezione è stata imparata per bene e la manipolazione dell’informazione è ormai diventata capace di intorbidare le acque e di rendere insicuri e sospettosi i più avvertiti, ma sciocchi utili e passivi coloro i quali ricevono le notizie e non hanno i mezzi o la voglia di approfondirle. Fra costoro si contano molti operatori della comunicazione ai quali non è consentito di non verificare le fonti e –aggiungerei- di non perdere un po’ di tempo a studiare il caso. Nessun giornalista è andato a fare un réportage sui seimila medici cubani in servizio in zone disagiate del Brasile in forza di un contratto fra l’Organizzazione Panamericana della Salute, Cuba e il Brasile, ma la notizia di una dottoressa che ha chiesto asilo all’Ambasciata di Washington a Brasilia è rimbalzata su molti giornali, “rivelando” che una buona parte del salario di quei medici va nelle casse dello stato cubano per sostenere la costosa macchina del loro programma rivoluzionario di salute pubblica.
L’elenco delle parzialità, mezze verità e intere bugie sarebbe infinito, vorrei invece soffermarmi su alcuni punti che mi hanno aiutato molto sia ad essere diffidente che a comprendere, anno dopo anno, “le ragioni di Cuba”.
Parecchio prima dei casi Manning e Snowden, un funzionario della CIA, Philip Agee, alla fine degli anni sessanta, ha abbandonato la Compagnia, disgustato da quella politica dopo una lunga esperienza in Ecuador e in Uruguay, ma non solo. Colta di sorpresa, la Compagnia non ha reagito prontamente e Agee è riuscito a pubblicare un suo libro denuncia, Inside the Company. CIA Diary, con la casa editrice inglese Penguin nel 1975; in seguito ha dovuto abbandonare l’Inghilterra e altri paesi europei, accettare l’ospitalità del Nicaragua sandinista e, dopo la sconfitta elettorale di Ortega, ritirarsi a Cuba dove ha aperto l’agenzia di viaggi “Cubalinda” e dove è morto nel 2008 non senza prima aver partecipato ad alcune puntate della popolare trasmissione di approfondimento, “Mesa Redonda”, rintracciabile su Youtube, dove ha detto cose molto interessanti a proposito dei nuovi governi in America Latina. Agee ha espresso la sua preoccupazione, prima di tutto per il Venezuela ma anche per la Bolivia e per l’Ecuador e particolarmente per la vita dei tre presidenti. Agee ha sostenuto che, mentre Cuba, dopo tanti anni di resistenza, ha imparato a difendersi bene sul terreno dell’intelligence e della sicurezza, in quegli altri paesi, dove tradizionalmente l’ingerenza degli Stati Uniti era totale, gli apparati politici, amministrativi e militari, non possono certamente essere stati “ripuliti” in così poco tempo, per cui avvertiva che il pericolo che si facesse uso di quella tecnica che ormai tutti chiamano “golpe suave” era reale. Risentire quelle sue parole in questi giorni in cui il Venezuela è agitato da pericolosi disordini, fa venire i brividi, tenuto conto della lunga esperienza di Agee nei paesi latinoamericani <http://www.counterpunch.org/2003/08/08/terrorism-and-civil-society-as-instruments-of-us-policy-in-cuba/>.
Il cubano Raúl Antonio Capote ha viaggiato in molti paesi per dare testimonianza della sua esperienza come doppio agente fra la fine del secolo scorso e i primi anni di quello presente. A Roma, dove l’ho incontrato, c’era un pubblico scarso e sui mezzi di informazione nessuna eco, eppure Capote ha scritto un libro testimonianza, Enemigo, per la Editorial José Martí (La Habana 2011), che rivela tutta la strategia di destabilizzazione degli Stati Uniti a Cuba nel primo decennio di questo secolo. Capote si definisce “uno degli scrittori del Periodo speciale” in altre parole, uno di quegli scrittori frustrati, che sapevano di non poter essere pubblicati sia per la mancanza di carta e di mezzi materiali, sia per l’inevitabile stupidità di alcuni burocrati. E’ dunque un intellettuale “conflittivo” (lo ero davvero nel migliore e autentico senso della parola, p. 33) quando viene individuato da una reclutatrice dell’Ufficio di Interessi degli Stati Uniti nell’isola (SINA); si tratta di Kelly Keiderling, giovane, bella, amichevole che per anni frequenta la casa di Capote con i suoi figli. Piovono gli inviti a feste d’ambasciata, gli elogi e l’allettante proposta di fondare un’agenzia letteraria per questo “grande scrittore” e poco a poco, portato per mano, Capote il “conflittivo”, si ritrova nelle mani di René Greenwald, EGA (El Gran Amigo) che dal suo ufficio del Messico muove le fila della sua marionetta, una figura di intellettuale che sembrerebbe ideale per lo scopo di “fabbricare un leader”. La marionetta, però, ha capito per tempo a cosa mirano tutte le attenzioni, anche materiali, di cui è oggetto e ne ha parlato con gli agenti della Seguiridad del Estado prendendo la rischiosa decisione di accettare la proposta della CIA e di diventare doppio agente. Grazie a lui, molti “ufficiali” della CIA diventano facce note non solo nell’isola ma anche in altri paesi latinoamericani. Kelly Keiderling è stata espulsa l’anno scorso da Caracas per il suo lavoro di reclutamento e se ne può seguire la conferenza stampa in cui offre le sue giustificazioni su www.youtube.com/watch?v=sGCSU72Alhy. Mark Sullivan (in codice El Amigo de Washington) era stato espulso qualche tempo prima dall’Ecuador. Sullivan è l’uomo che interrompe il contatto con Capote, ordinandogli di disfarsi del computer HuguesBgan 9201, un sofisticatissimo apparecchio che appartiene a un programma di difesa statunitense molto segreto in seguito all’arresto del contrattista della CIA Alan Gross all’Avana. I media continuano ancora a sostenere che Gross era all’Avana per consegnare innocui computer alla comunità israelita (che non li aveva chiesti né li ha ricevuti), allo scopo di favorirne le conoscenze. La testimonianza di Capote in quel processo è stata determinante per accertare la vera natura del viaggio di Gross all’Avana con tre sofisticati Bgan ed è questo il motivo per cui il nostro uomo non è più l’agente della CIA, Pablo e neanche l’agente della Seguridad, Daniel ed è tornato ad essere il professore Raúl Antonio Capote. In un video, Las razones de Cuba, ha raccontato la sua storia nel capitolo intitolato Fabricando un líder. Era questo, infatti, il proposito perseguito per anni, con perseveranza e determinazione, da vari agenti della CIA che hanno operato sia sotto la copertura di incarichi diplomatici che sotto la veste di innocui turisti o di studiosi e docenti in visita culturale nel paese.
Nel suo libro, Capote racconta, con molta sincerità che, negli anni novanta, la storia eterna del potente nemico che complotta anno dopo anno, per più di cinquant’anni, a lui e ad altri non sembrava più convincente; credevano piuttosto che fosse ormai “una sindrome, una paranoia giustificare tutto con l’onnipresenza dell’ enemigo. E’ stata la sua vicenda personale a fargli capire che non c’erano esagerazioni in quella lettura dell’ingerenza nordamericana. Adesso ha una diversa consapevolezza:
“Il nemico ha messo in pratica uno schema di sovversione in cui le nuove tecnologie giocano un ruolo molto importante, come in Libia, in Siria, ecc. Naturalmente è l’uomo ad agire, a organizzare, a generare idee, a lottare nelle piazze, a impugnare le armi e a fare le rivoluzioni o le contro rivoluzioni, ma Internet e i nuovi apparecchi per comunicare in frazioni di secondi, permettono un livello di mobilitazione e di contatto mai sperimentato prima. Approfittando di questi dati, il governo degli Stati Uniti, dota la controrivoluzione interna di sofisticati e costosi apparecchi come il Bgan per aumentarne la capacità di articolazione e di mobilitazione (Intervista di Aday del Sol Reyes, Un cubano que burló la CIA cuenta su historia, “Juventud Rebelde”, 19 feb. 2012).
Nelle lunghe pratiche di addestramento, durante i viaggi all’interno dell’isola per stabilire contatti e distribuire soldi e tecnologia ai dissidenti da loro reclutati, Capote viene istruito sul modus operandi della CIA in territorio cubano:
“Così hanno organizzato varie riunioni con giovani oppositori cubani, per addestrarli nella strategia del golpe suave e la rivoluzione non violenta […] l’ avevano applicato con successo in Yugoslavia, nel 2000, in Georgia, la rivoluzione delle rose, nel 2003, in Ucraina, Rivoluzione Arancione, nel 2004 e in Kirgistan, Rivoluzione dei tulipani, nel 2005. […] Strategia fndamentale della CIA: utilizzare i giovani per provocare un caos sociale e politico, generare sotto le bandiere della non violenza disturbi di piazza, attrarre la stampa internazionale, provocare la repressione attraverso la realizzazione di atti violenti e illegali, che poi sarebbero stati ampiamente divulgati dai media internazionali, per giustificare qualsiasi azione contro la Rivoluzione, presentandola come un atto di giustizia.” (R.A. Capote, pp. 66-67).
Il doppio agente, un intellettuale colto e ben preparato, viene così a sapere che l’USAID, teoricamente uno strumento di diffusione culturale, “crea nei nostri paesi una profonda rete che capta quadri, fabbrica leaders, penetra la società civile utilizzando gruppi locali e persone, un vero esercito intervenzionista di “esperti”, “consulenti” che lavorano allo sviluppo di questi piani sovversivi” (Ivi, p. 104).
Capote capisce ben presto che la potente macchina della Compagnia ha capito che non riuscirà ad abbattere la figura di Fidel Castro e quella del fratello Raúl, ha deciso, quindi di puntare sui giovani ma, abgliando ancora una volta, nutrono un franco disprezzo per loro, così come dimostrano più di una volta di disprezzare i cubani: Gli studenti sono propensi al caos, irresponsabili, immaturi, contrari al potere (v. il film L’onda del regista tedesco Dennis Gansel) (Ivi, p. 152).
Il libro è pubblicato, il video è in rete, basta andarli a guardare, verificare i dati per valutare se quella del nemico sia una sindrome cubana o per valutare quanto sta succedendo nel mondo oggi ed in particolare in Venezuela. Sarà obbligatorio non accontentarsi di una vulgata che mostra troppi vuoti e contraddizioni.